I concimi favoriscono la crescita delle piante fornendo nutritivi, ma il rovescio della medaglia è che quelli chimici rappresentano una minaccia ambientale, se utilizzati in maniera e quantità improprie. Si va dalla più nota contaminazione da nitrati, fino alle minacce rappresentate da cromo e ‘terre rare’, con criticità che riguardano non solo l’acqua ma anche il terreno, giocando un ruolo anche nel fenomeno della desertificazione.
I nitrati “dal suolo passano per trasferimento alle falde acquifere. Il suolo interagisce con le acque circolanti e rilascia in maniera variabile sia elementi nutrienti sia tossici. In funzione delle caratteristiche dell’ambiente e della stagionalità, i nitrati si trasformano in nitriti, che sono tossici a contatto con l’acqua la contaminazione si disperde, arriva nei corpi d’acqua superficiali e nell’ecosistema.
La Coldiretti sta seguendo il progetto di ricerca dell’Ispra sulla mappatura isotopica dei nitrati perché si ritiene che la mappatura rilevi come la contaminazione da nitrati possa non essere unicamente riconducibile al settore zootecnico, ma possa essere collegata ai reflui civili non correttamente smaltiti e quindi alle problematiche relative agli impianti di depurazione. Per risolvere il problema nitrati, che riguarda il 13% delle nostre acque sotterranee, bisogna arrivare alla corretta individuazione delle cause di inquinamento.
Ai più noti nitrati, però, si aggiungono problemi che riguardano i concimi ricchi di boro, potenzialmente tossico, e quelli contenenti un gruppo di elementi chimici che, nell’insieme, vengono chiamati ‘terre rare’, che sono tossici. Si tratta di elementi che vanno dal lantanio fino al lutezio e vengono dati in ambito agricolo, aggiungendosi alle precedenti sorgenti di contaminazione.
Senza dimenticare la contaminazione da prodotti derivanti da attività conciaria, ricchi di azoto, che favoriscono la crescita delle piante ma contengono anche cromo .
Si è sempre ritenuto che gli effetti negativi del cromo venissero neutralizzati dal terreno, ma si è osservato che in certe aree e in alcune condizioni il terreno reagisce trasformando il nutriente (cromo trivalente) in elemento tossico e mutageno (cromo esavalente), quindi non è detto che questi fertilizzanti siano del tutto sicuri.
Una ricetta che valga per tutti i terreni a rischio o contaminati non esiste.
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Metà delle acque di laghi e fiumi italiani sono contaminati da pesticidi. E aumenta il numero di sostanze pericolose trovate nelle acque, sia superficiali che sotterranee: nel 2010 sono stati individuati ben 166 tipi diversi di pesticidi, a fronte dei 118 del biennio 2007-2008. L’aumento è anche segno che oggi i controlli sono più accurati rispetto a qualche anno fa. Una magra consolazione, però. Molti sono infatti i dati preoccupanti resi noti dall’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) nel “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2013″, realizzato sulla base dei monitoraggi delle acque comunicati all’Ispra dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale.
Il 55,1 per cento delle acque superficiali (fiumi, laghi e paludi) e il 28,2 per cento di quelle sotterranee sono contaminati. A rischio sono sia gli organismi acquatici che l’uomo, esposto ai contaminanti attraverso il cibo e l’acqua. Le “acque utilizzate per scopo potabile – fa infatti sapere l’Ispra – spesso attingono agli stessi corpi idrici” degli ecosistemi acquatici. E superano i livelli massimi di pesticidi consentiti per le acque potabili il 34,4 per cento delle acque superficiali analizzate e il 12,3 di quelle sotterranee.
Sotto accusa è soprattutto la nostra agricoltura, che detiene il record europeo di quantità d’impiego di fitosanitari: 5,6 chili per ettaro (dati Istat), 350 sostanze tossiche diverse, 140mila tonnellate all’anno, che da sole fanno il 33 per cento del totale usato in tutta l’Unione europea. Nelle acque ci sono anche sostanze fuori commercio da anni, come le triazine atrazina e simazina. Vengano ancora usate illegalmente? “Non si può escludere in via di principio, ma penso invece che la loro rilevazione sia dovuta alla loro persistenza”, spiega Pietro Paris, coordinatore del rapporto. Incriminati anche i biocidi, cioè quei pesticidi che includono i disinfettanti domestici, i preservanti del legno, gli anti-incrostanti per le imbarcazioni e gli insetticidi domestici, che spesso hanno, anche se in dosi diverse, lo stesso principio attivo di quelli usati in agricoltura. “Per i fitosanitari abbiamo informazioni sulle vendite, ma non per i biocidi, per i quali un monitoraggio è più difficile”, dice Paris.
E spesso non aiutano a fare chiarezza le stesse Regioni e le Agenzie per la protezione ambientale, che in molti casi non comunicano all’Ispra i dati sulle contaminazioni oppure lo fanno in modo parziale. Nelle mappe Ispra infatti mancano i dati di Liguria e Calabria e sono troppo pochi per essere utili quelli di Campania, Sardegna, Basilicata, Lazio, Molise e più o meno di tutte le Regioni a esclusione di quelle della pianura padano–veneta, in cui di conseguenza l’inquinamento appare maggiore. “Se una Regione non ci invia i dati non possiamo farci niente: dal 2006 operiamo senza un contesto normativo definito e senza la possibilità di invocare adempimenti e scadenze”, dice Paris.
E i dati che fine fanno? “Li comunichiamo ai ministeri dell’Ambiente, della Salute e delle Politiche Agricole. In certi casi di inquinamento conclamato ci sono stati interventi positivi, ma non basta. In Francia, già da prima del 2005, sulla base di risultati analoghi ai nostri, sono state revocate tutte le triazine. Noi abbiamo ancora il terbutilazine, che è la sostanza più rinvenuta in assoluto in Italia. Da noi – denuncia Paris – molte sostanze sono state revocate, ma solo perché è stato fatto a livello europeo”.
E’ stato sviluppato un microrganismo geneticamente modificato in grado di convertire l’anidride carbonica in un combustibile ecologico. La ricerca è stata condotta presso la University of Georgia e pubblicata suProceedings of National Academies of Sciences.
I limiti - Tuttavia il ciclo di conversione dipende ancora dai combustibili fossili. Infatti, i ricercatori hanno utilizzato l’idrogeno come fonte di energia, la cui sorgente più facilmente disponibile è al momento il gas naturale, un combustibile fossile. Adams ha aggiunto: “Nella ricerca a lungo termine ci auguriamo di poter utilizzare idrogeno da fonti rinnovabili biologiche, come da alghe fotosintetiche o rifiuti dei prodotti di fermentazione”. In ogni caso, il combustibile prodotto con il Pyrococcus furiosus è a zero emissioni perché quando brucia rilascia la stessa quantità di CO2 utilizzata per crearlo e ciò lo rende più pulito di benzina, petrolio e carbone.
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