Aggregazione ed integrazione le parole d’ordine per il rilancio delle filiere agroalimentari
Per contrastare le problematiche riguardanti il funzionamento della filiera agroalimentare e i rapporti tra gli attori che la compongono, la Commissione Europea propone l’introduzione, o il potenziamento, di alcuni strumenti. Tra questi, i principali sono finalizzati a incentivare l’aggregazione (Organizzazioni di Produttori) e l’integrazione (Organizzazioni Interprofessionali) all’interno della filiera, oltre che a regolamentare le relazioni contrattuali tra i soggetti coinvolti.
Il miglioramento del funzionamento della filiera agroalimentare è uno degli aspetti più rilevanti sui quali la proposta di riforma della nuova PAC pone l’attenzione.
Negli ultimi anni, infatti, il problema della volatilità dei prezzi, legato in parte a una politica meno protezionistica dell’UE, e il passaggio dagli strumenti diretti a quelli indiretti di intervento sui mercati, hanno reso più evidenti le problematiche legate al funzionamento della filiera e ai rapporti tra i vari attori che la compongono. Tali problematiche, prime fra tutte la trasparenza interna e lo squilibrio nei rapporti di forza tra i soggetti coinvolti, derivano dalla complessità strutturale della filiera agroalimentare e dalla pluralità degli attori che operano nelle varie fasi: la fase produttiva, con gli agricoltori e l’industria alimentare, e quella distributiva, che coinvolge il commercio all’ingrosso e al dettaglio, a sua volta distinto fra distribuzione tradizionale e moderna. L’Italia si caratterizza per una estrema polverizzazione della fase produttiva, con aziende di dimensioni spesso non adeguate a competere sui mercati esteri; ciò si traduce in un basso potere negoziale dei produttori rispetto agli attori che operano nella fase distributiva, in particolar modo la grande distribuzione organizzata (GDO). Il processo di concentrazione della GDO, a fronte dell’elevata frammentazione della produzione, ha infatti creato nel corso degli anni forti mismatch nei rapporti di forza all’interno del mercato dei prodotti agroalimentari, modificando il processo di formazione del valore aggiunto lungo la filiera agroalimentare a scapito del settore agricolo.
Per contrastare tali problematiche, la Commissione europea propone:
- il potenziamento di alcuni strumenti di aggregazione e di integrazione nella filiera, quali le Organizzazioni di Produttori (OP) e le Organizzazioni Interprofessionali (OI);
- lo sviluppo di strumenti di regolazione delle relazioni contrattuali, al fine di rendere più efficienti e trasparenti i rapporti tra i soggetti della filiera.
Le OP devono perseguire gli obiettivi di pianificazione e programmazione dell’offerta, di aggregazione e concentrazione della produzione, nonché di stabilizzazione dei prezzi. A differenza degli altri settori, le OP del settore ortofrutticolo sono sottoposte alla disciplina comunitaria dell’Ocm di settore. In particolare, la riforma del 1996 aveva previsto la possibilità per le organizzazioni di dotarsi di programmi operativi finanziabili attraverso un fondo di esercizio, cofinanziato per il 50% dall’UE entro il limite del 4,1% del Valore della Produzione Commercializzata
dell’organizzazione. Tale limite è stato successivamente innalzato al 4,6%3 dal regolamento (CE) n. 1182/2007,che ha introdotto le misure di “prevenzione e gestione delle crisi” tra quelle finanziabili attraverso il programma operativo. L’intervento comunitario ha quindi incentivato,
nel corso degli anni, lo sviluppo di forme organizzative nel settore ortofrutticolo, sebbene persistano limiti tradizionali che lo riguardano, con risultati disomogenei nelle diverse aree e per le differenti produzioni. Al nord si registrano, infatti, casi di successo e di riferimento per l’associazionismo, con organizzazioni più strutturate e di dimensioni elevate, mentre nelle regioni centro-meridionali le OP ortofrutticole non hanno avuto lo sviluppo auspicato sotto il profilo dell’aggregazione dell’offerta. Nonostante tali limiti, quello ortofrutticolo resta il settore di riferimento per l’associazionismo. Negli altri settori, infatti, le OP (regolamentate dal d.lgs. n. 102/2005) hanno una storia relativamente recente e mostrano ancora un basso livello di diffusione a livello nazionale, con un tasso di aggregazione della produzione inferiore al 5%5 del valore nazionale (rispetto a oltre il 40% delle OP ortofrutticole). Anche nei settori, come l’olivicolo e il tabacchicolo, nei quali si è riscontrata negli ultimi anni una crescita significativa del numero di OP, tale andamento può essere associato quasi esclusivamente alla possibilità di accedere a particolari tipologie di sostegno specifiche per il settore.
Lo strumento delle Organizzazioni Interprofessionali, a differenza delle OP, riguarda gli attori coinvolti in più fasi della filiera. Tra le principali funzioni di questi organismi c’è il miglioramento della conoscenza e della trasparenza della filiera, facilitando il dialogo tra i diversi attori, nell’ottica di un’equa ripartizione del valore tra i soggetti coinvolti. Le OI a livello comunitario sono riconosciute, in base al Reg. 1234/2007, solo per alcuni settori mentre a livello nazionale è il d.lgs. 102/2005 a definirne il riconoscimento e le funzioni. Tuttavia, nonostante un quadro normativo abbastanza definito, non si sono sviluppate esperienze applicative proporzionate ad esso, e l’interprofessione stenta ad affermarsi come modello di gestione delle filiere agroalimentari.
Basti pensare che sono solo otto complessivamente le OI in Italia e soltanto una di queste (“Ortofrutta Italia”) è riconosciuta a livello nazionale. È chiaro, quindi, come l’interprofessione, che potrebbe rappresentare un importante strumento per il contenimento della distorsione e l’aumento della trasparenza, non abbia avuto in Italia lo sviluppo sperato e ciò può essere in parte imputato anche alla scarsa presenza di OP sul territorio nazionale.
Sia per le OP che per le OI la proposta di riforma della commissione va nella direzione di una estensione di questi strumenti ad altri settori.
Come per le OP esiste un “modello ortofrutta”, per quanto riguarda le OI è il lattiero-caseario il settore di riferimento. Con l’introduzione del Reg. Ce 261/2012 (Pacchetto latte) sono stati, infatti, previsti strumenti di regolazione, primo fra tutti la possibilità di stipulare contratti scritti tra produttori e trasformatori. Anche in questo caso viene riconosciuta l’importanza dell’aggregazione e dell’integrazione all’interno della filiera, prevedendo la possibilità della negoziazione collettiva dei contratti attraverso le OP e introducendo il riconoscimento delle OI anche in questo settore.
Anche la politica nazionale, con il “Decreto Liberalizzazioni”, sembra muoversi nella direzione di una maggiore trasparenza all’interno della filiera. L’articolo 62 del D.L. 24 gennaio 2012 introduce infatti l’obbligo della forma scritta per i contratti tra le singole parti, oltre a elencare una serie
di pratiche vietate al fine di prevenire comportamenti sleali nei rapporti.
Questi strumenti di regolazione delle relazioni contrattuali, sia comunitari che nazionali, introducono misure innovative di notevole rilevanza che, se adeguatamente recepite e applicate, potrebbero dare uno slancio nel riequilibrare i rapporti di forza all’interno della filiera. A questo proposito, va però precisato che l’efficacia di tali misure non può prescindere dallo sviluppo e dal rafforzamento del ruolo delle OP e delle OI.
Fonte Roberto Solazzo