Metà delle acque di laghi e fiumi italiani sono contaminati da pesticidi. E aumenta il numero di sostanze pericolose trovate nelle acque, sia superficiali che sotterranee: nel 2010 sono stati individuati ben 166 tipi diversi di pesticidi, a fronte dei 118 del biennio 2007-2008. L’aumento è anche segno che oggi i controlli sono più accurati rispetto a qualche anno fa. Una magra consolazione, però. Molti sono infatti i dati preoccupanti resi noti dall’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) nel “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2013″, realizzato sulla base dei monitoraggi delle acque comunicati all’Ispra dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale.
Il 55,1 per cento delle acque superficiali (fiumi, laghi e paludi) e il 28,2 per cento di quelle sotterranee sono contaminati. A rischio sono sia gli organismi acquatici che l’uomo, esposto ai contaminanti attraverso il cibo e l’acqua. Le “acque utilizzate per scopo potabile – fa infatti sapere l’Ispra – spesso attingono agli stessi corpi idrici” degli ecosistemi acquatici. E superano i livelli massimi di pesticidi consentiti per le acque potabili il 34,4 per cento delle acque superficiali analizzate e il 12,3 di quelle sotterranee.
Sotto accusa è soprattutto la nostra agricoltura, che detiene il record europeo di quantità d’impiego di fitosanitari: 5,6 chili per ettaro (dati Istat), 350 sostanze tossiche diverse, 140mila tonnellate all’anno, che da sole fanno il 33 per cento del totale usato in tutta l’Unione europea. Nelle acque ci sono anche sostanze fuori commercio da anni, come le triazine atrazina e simazina. Vengano ancora usate illegalmente? “Non si può escludere in via di principio, ma penso invece che la loro rilevazione sia dovuta alla loro persistenza”, spiega Pietro Paris, coordinatore del rapporto. Incriminati anche i biocidi, cioè quei pesticidi che includono i disinfettanti domestici, i preservanti del legno, gli anti-incrostanti per le imbarcazioni e gli insetticidi domestici, che spesso hanno, anche se in dosi diverse, lo stesso principio attivo di quelli usati in agricoltura. “Per i fitosanitari abbiamo informazioni sulle vendite, ma non per i biocidi, per i quali un monitoraggio è più difficile”, dice Paris.
E spesso non aiutano a fare chiarezza le stesse Regioni e le Agenzie per la protezione ambientale, che in molti casi non comunicano all’Ispra i dati sulle contaminazioni oppure lo fanno in modo parziale. Nelle mappe Ispra infatti mancano i dati di Liguria e Calabria e sono troppo pochi per essere utili quelli di Campania, Sardegna, Basilicata, Lazio, Molise e più o meno di tutte le Regioni a esclusione di quelle della pianura padano–veneta, in cui di conseguenza l’inquinamento appare maggiore. “Se una Regione non ci invia i dati non possiamo farci niente: dal 2006 operiamo senza un contesto normativo definito e senza la possibilità di invocare adempimenti e scadenze”, dice Paris.
E i dati che fine fanno? “Li comunichiamo ai ministeri dell’Ambiente, della Salute e delle Politiche Agricole. In certi casi di inquinamento conclamato ci sono stati interventi positivi, ma non basta. In Francia, già da prima del 2005, sulla base di risultati analoghi ai nostri, sono state revocate tutte le triazine. Noi abbiamo ancora il terbutilazine, che è la sostanza più rinvenuta in assoluto in Italia. Da noi – denuncia Paris – molte sostanze sono state revocate, ma solo perché è stato fatto a livello europeo”.
Il livello dell’innovazione nell’UE è migliorata di anno in anno, nonostante il perdurare della crisi economica, ma il divario di innovazione tra gli Stati membri si sta allargando. Mentre i paesi più innovativi hanno ulteriormente migliorato le loro prestazioni, altri hanno mostrato una mancanza di progressi. La classifica generale nell’UE rimane relativamente stabile, con la Svezia al primo posto, seguita dalla Germania, Danimarca e Finlandia.
Estonia, la Lituania e la Lettonia sono i paesi che più hanno migliorato rispetto allo scorso anno.
Chi sono i leader dell’innovazione nell’Unione europea?
Sulla base dell’indice sintetico, gli Stati membri rientrano nelle seguenti quattro gruppi di paesi:
Variazione positiva delle superfici coltivate a fragola nel 2012: con quasi 3.700 ettari in Italia si è registrato +4% rispetto al 2011. La superficie in coltura protetta è di 2.900 ettari (circa l’80%) mentre quella in pieno campo è di 800 ettari (circa il 20%). (Fonte Cso di Ferrara). I dati dimostrano come si sia affermata la coltura protetta, che cresce del 5% rispetto al 2011, rispetto al pieno campo che appare tendenzialmente stabile. In particolare si evidenzia un rafforzamento della coltivazione in tutte le aree del Sud Italia: cresce in Campania (+5% rispetto allo scorso anno), così come in Basilicata (+17%) e Sicilia. Stabile la produzione in Calabria.
Nell’ambito del Nord Italia si conferma l’importanza della fragolicoltura veneta. Un 2012 in crescita per il Trentino, mentre è stabile la superficie nella provincia di Bolzano. Per l’Emilia-Romagna, infine, si rileva una sostanziale stabilità della coltivazione in coltura specializzata.
Il consumatore chiede una fragola gustosa, dolce, aromatica e consistente. La qualità diventa così elemento imprescindibile, che deve però essere supportato da strategie di marketing adeguate. In tutto questo sistema rimane centrale l’aspetto della sostenibilità: senza questa elemento l’azienda agricola non può andare avanti.
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